Cardillo

Una storia impossibile

Trapani, 

Antonio Mistretta e Federico Chiarello intervistano Cardillo sul programma radiofonico The Trail Blazers, per Zak Radio Trapani


Intervista

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con Antonio Mistretta, Federico Chiarello

Registrata in diretta su Zak Radio per il programma The Trail Blazers – Generazione Erasmus, questa conversazione si svolge tra l’architetto Antonino Cardillo e i conduttori Antonio Mistretta e Federico Chiarello, con la partecipazione di Diego Grammatico. Il tono è vivace, colloquiale, ma si apre a riflessioni profonde sull’architettura, la rappresentazione mediatica, l’identità siciliana e il potere dell’immaginario. L’intervista ruota attorno all’opera , diventata catalizzatore di un discorso più ampio sulla bellezza, la sovversione e il ritorno alle radici.

Antonio Mistretta: «Bentornati Blazers, siamo anche in diretta Facebook. Se volete vedere le nostre facce e quelle dei nostri ospiti, collegatevi su The Trail Blazers – Generazione Erasmus. Do il benvenuto con i microfoni di Zak Radio all’architetto Antonino Cardillo. Benvenuto Antonino.»

Antonino Cardillo: «Grazie, buonasera.»

AM: «La prima cosa che facciamo quando invitiamo qualcuno è spiegare perché. Io e Federico abbiamo conosciuto Antonino ieri pomeriggio, grazie a Diego, nostro amico. Antonino ci ha fatto entrare nel suo mondo. È un esempio controcorrente rispetto a quanto detto finora: che Trapani offre poco, che bisogna andare fuori per arricchirsi e poi tornare. Antonino ha fatto questo, ma mi diceva che a Trapani ha trovato un terreno fertile per le sue idee. Correggimi se sbaglio.»

AC: «Sì, il mio percorso è un po’ particolare. Dopo esperienze fuori Trapani – Roma, Milano, anche Londra – mi sono reso conto che forse la cosa più sovversiva era tornare. Dopo Londra, ho capito che questo periodo storico è molto noioso. Non succede nulla di eccitante. E forse questo accade perché ci sono luoghi comuni enormi sull’idea che le cose accadano solo nelle grandi città. In realtà non è così. È una rappresentazione mediatica, non una sostanza reale.

La mia ambizione era fare qualcosa di significativo in una dimensione internazionale, ma in Sicilia. Per dissacrare l’immaginario di una Sicilia legata al passato o a un presente controverso, troppo spostata mediaticamente sui problemi politici e poco sui contenuti culturali. I media siciliani andrebbero cambiati.»

AM: «Questo è uno spunto di riflessione che vogliamo dare ai nostri ascoltatori. Mi ha colpito molto ieri. Ti chiedo di presentarti in poche parole, come fosse il trailer di un film.»

AC: «Ufficialmente sono un architetto, anche se le mie intenzioni hanno più a che fare con il racconto, il cinema, i confini tra realtà e illusione, il fantasma e l’immaginario. Soprattutto la percezione.»

AM: «Ti posso definire come l’architetto che sta nel confine tra realtà e immaginazione?»

AC: «Sì, l’hai detto perfettamente.»

Federico Chiarello: «Antonino, per me tu sei un artista, non un architetto. Infatti dicevo: sei l’architetto al limite tra realtà e immaginario.»

AC: «Forse sarebbe meglio dire che sono uno scrittore.»

FC: «Uno scrittore? Allora dimmi: come può un architetto essere uno scrittore?»

AC: «Generalmente si vede l’architetto come tecnico, professionista abilitato, legato a mansioni burocratiche o decorative. Ma nel passato, quando l’architetto non era una figura professionale, era un cantastorie. Raccontava storie, magari non sue, le tramandava. I nostri centri antichi sono racconti, storie. La nostra vita è resa più lieta da quegli sforzi. Oggi questo si è perso. L’architetto non è più scrittore di storie, ma assemblatore di prodotti. Io ho cercato di raccontare una storia, e dentro quella storia, altri capitoli, altre sottostorie. Come strati, come un labirinto di rimandi, cose mie e non mie, vere e false.»

AM: «Ieri ci siamo divertiti a pubblicare due fotografie con lo stesso sottotesto, tratto da una rivista tedesca: DEAR Magazin. Antonino è in copertina. Ora, magari vi chiedete: perché Antonino è finito sulla copertina di una rivista così importante?»

FC: «E perché in fucsia?»

AC: «È difficile da raccontare, si rischia di diventare autoreferenziali.»

AM: «Posso dirlo io? Perché ieri Antonino ci ha portato dentro una sua opera, o meglio dentro un suo libro, visto che lui è uno scrittore. E meritava parecchio. Quest’opera è , un vero capolavoro. Ieri non la conoscevamo né io, né Federico, né Will. Ma è stata molto apprezzata a livello internazionale.

Antonino, prova a trasportare i nostri ascoltatori dentro la tua opera e a dare qualche chiave di lettura.»

AC: «In quest’opera è concentrata l’idea di un’architettura segreta. Da fuori non si vede nulla, molte persone non sanno che esiste. Questo è parte dell’idea. Nell’architettura moderna l’interno continua nell’esterno, costruisce un’identità coesa. Ma nel passato non era così: tra esterno e interno c’era spesso un racconto diverso. Specus Corallii è come una grotta di coralli, piena di sedimenti, stratificazioni, riferimenti al nostro passato e territorio, sublimati in una dimensione di bellezza.

Questa bellezza è l’aspetto sovversivo del progetto. È come voler creare una storia impossibile, forse distrutta, forse mai esistita, ma rivendicata attraverso l’immaginario della grotta. Il luogo non appare all’esterno, ma raccoglie istanze che vogliono rappresentare una città non provinciale, ma universale. La nostra storia locale è universale: ha a che fare con relazioni internazionali che hanno deciso le sorti dell’Occidente. Ma spesso le istituzioni culturali dimenticano questo, e tutto diventa provinciale, bigotto. Specus Corallii cerca di interpretare il luogo e lanciarlo in una dimensione internazionale, come affermazione di stile che contiene elementi sovversivi.»

AM: «Ieri ci hai fatto vivere un’esperienza incredibile. Ci hai fatto entrare in un corridoio al buio, per abituare l’occhio alla luce. Un’esperienza sensoriale elevatissima.»

AC: «Sì, per non perdersi subito con la vista, che è il senso dominante. Quell’ingresso oscuro è come un rito di passaggio. Poi si scoprono i dettagli, i particolari.»

AM: «Antonino, come si può visitare Specus Corallii

AC: «La proprietà è della cattedrale di Trapani. Basta andare in sacrestia e chiedere di padre Gaspare Gruppuso. Oppure potete mandarmi una richiesta tramite il mio sito. Se posso, mi rendo disponibile per una visita.»

FC: «Sareste fortunatissimi ad avere Antonino come guida. Anche se ieri ci hai detto che forse sarebbe stato meglio se tu non ci fossi stato.»

AC: «Eh sì, è il dilemma: se l’architettura va raccontata con le parole o lasciata all’immaginario. Io preferisco la seconda, ma spesso non è possibile. Ci sono compromessi.»

AM: «Però tu non ci hai detto tutto. Ci hai portato nel luogo, ce l’hai mostrato, ma hai lasciato spazio all’immaginazione.»

AC: «Esatto. Lo Specus è uno specchio. Etimologicamente ha a che fare con gli specchi. L’architettura è tanto più forte quanto più riesce a tirare fuori l’immaginario che già preesiste dentro di noi.

Se un luogo riesce a rievocare ricordi, a creare altre storie, altri labirinti, entra in una dimensione onirica, più profonda e più permanente. Questa dimensione è molto presente in quello che faccio. Forse è per questo che nel 2009 la rivista Wallpaper* mi ha definito uno dei trenta architetti più importanti al mondo.»

AM: «Non è poco. Come è accaduto?»

AC: «La mia storia è controversa. Non ho una posizione stabile su quello che ho fatto. Anche la mia interpretazione è solo una versione. È quasi una parodia della verità. Ha a che fare con il giornalismo, con la rappresentazione della realtà. Noi ci illudiamo di vivere una realtà, ma viviamo solo una renderizzazione operata dai media.

La mia formazione è storica. Ho fatto l’assistente per cinque anni in storia dell’architettura moderna e contemporanea. Avevo già l’intuizione che qualcosa non funzionasse. Nell’atto di comunicare la mia architettura, volevo sperimentare la possibilità di manipolare, come fanno i giornalisti. Per costruire autorevolezza, bisogna comunicare. E io ho comunicato opere che non esistevano, lasciando vago il discorso sulla loro esistenza.

Il desiderio della bellezza, probabilmente inconscio, ha fatto sì che i giornalisti – in parte coscientemente, in parte no – credessero che queste opere fossero realizzate. Così sono state pubblicate in circa 150 riviste internazionali tra il 2007 e il 2011.

Queste sette case immaginarie, che ho chiamato Sette case per nessuno, hanno creato una sorta di mitologia contemporanea. Se uno lo guarda da un punto di vista deontologico, è ambiguo: ho falsificato. Ma è un atto sovversivo. Non ho fatto nulla di diverso da ciò che fa la pubblicità, la televisione, le testate nazionali. Ho reinventato un fatto in funzione di una direzione, manipolando la sua renderizzazione. Ho applicato questa tecnica all’architettura, un mondo stantio, lineare, spesso volgare.

Questo mio atteggiamento è diventato quasi scandaloso. Ma il teatro è una menzogna. Se lo si vede in una prospettiva artistica, è coerente. Non lo è se lo si guarda con logiche professionali.»

Diego Grammatico: «Io volevo solo contribuire alla discussione. L’arte è da sempre manipolativa. Raramente raffigura la realtà per come è. Penso al quadro di Jacques-Louis David, Napoleone che attraversa le Alpi: è propaganda politica. La manipolazione è presente in ogni mezzo artistico, anche nell’architettura.»

FC: «Antonino, fuori onda ti ho chiesto perché si è creato tutto questo scandalo mediatico attorno alle Sette case per nessuno. Puoi ripetere la tua risposta?»

AC: «Questa storia vuole essere una parodia dell’architettura moderna, irrigidita da logiche di coerenza, onestà, realtà. Ma l’architettura prima della modernità si basava su logiche diverse: pensiamo all’Art Nouveau, al Barocco, all’architettura classica. Molto spesso ciò che vediamo è una sovrastruttura, non la realtà. È l’idea che l’architetto voleva dare della realtà.

Il mondo dell’architettura si scandalizza all’idea che essa possa sconfinare nell’immaginario. È un’inibizione piccolo borghese, come di fronte a qualcosa di erotico. Questo scandalo ha fatto emergere un problema internazionale: un giornalismo troppo legato al potere, attratto dai soldi, che dà spazio alle opere costose perché potenti. È una degradazione dell’architettura.»

FC: «Non pensavo che l’aspetto pratico fosse così centrale nel mondo dell’architettura. È interessante.»

AM: «Vengo da un’esperienza che continuerà a Barcellona. È inevitabile pensare a Gaudí. Cosa pensi di lui?»

AC: «Gaudí ha a che fare con ciò che ho appena detto. Rappresentava un’architettura immaginifica. Tolta la sovrastruttura, è anche abbastanza tradizionale. Ma quella sovrastruttura ha creato l’identità di una città. Gaudí è morto pressoché sconosciuto, era un barbone. È curioso: una città che oggi costruisce la sua fortuna su di lui, lo aveva abbandonato.

Questo è legato alle dinamiche della borghesia. Lo status determina il successo. È conseguenza dei soldi, della grandezza dello studio, del numero di assistenti. Gaudí non aveva nulla di tutto questo. Era visto come un diverso, un idiosincratico. E questo non è cambiato. Le grandi star dell’architettura sono il risultato di questa logica borghese.

Il risultato delle opere prodotte da questo sistema non è interessante culturalmente, perché è già malato all’origine. I desideri sono bassi.»

FC: «Nel leggere la tua intervista, ho pensato a una somiglianza con Gaudí: fare qualcosa fuori dagli schemi. Mi ricordo che la Casa Batlló fu criticata tantissimo, si fece una petizione per abbatterla. Ora per visitarla si pagano 25 euro. È incredibile.»

AM: «Antonino, immagina di avere in mano la penna della storia. Come vorresti essere ricordato?»

AC: «Portare avanti l’idea dell’architettura come racconto è un tentativo di interagire con gli altri, invitarli a interpretare. Ma in questo gioco di specchi capisci anche te stesso. Non posso sapere o volere che immagine configuro negli altri. Mi interessa il contrario: capire me stesso attraverso ciò che gli altri pensano di me.

La mia storia è anche conseguenza di ciò che gli altri hanno letto, anche negativamente. Nelle mie ambizioni si riflettono i desideri legittimi o perversi di una generazione. È interessante per capire chi siamo.»

FC: «Antonino, qual è il significato che dai alla tua origine, alle tue radici?»

AC: «È il motivo per cui tre anni fa sono tornato in Sicilia. Volevo capitalizzare l’esposizione internazionale che ero riuscito a costruire, cercando di far sì che Specus Corallii diventasse un manifesto di stile, raccogliendo valori legati alla nostra cultura e al nostro passato in una dimensione contemporanea.

La mia ambizione è indicare una strada, far capire – soprattutto agli architetti, ma non solo – che la Sicilia ha uno straordinario potenziale. Un serbatoio per costruire una direzione sincretica del mondo, dove civiltà e culture diverse formano una nuova coesistenza potente, sfaccettata, labirintica.»

FC: «Posso interpretare? Ritornare alle radici per rappresentarle e rivoluzionare con esse il fuori.»

AC: «Esatto. Far diventare la Sicilia un manifesto culturale contemporaneo. È ambizioso, lo so. Ma tanto più ci distanziamo dagli stereotipi dell’architettura e dell’arte contemporanea, e troviamo nelle nostre radici una dimensione di sovversione, tanto più il messaggio diventa forte.

Spesso chi torna in Sicilia reintroduce stilemi decadenti. Ma viaggiando ci si rende conto che il mondo è povero. Noi abbiamo una potenzialità straordinaria, come un libro che, appena aperto, sprigiona un incantesimo. Questo è il potere dell’architettura letta come immaginazione.

È fondamentale l’identità. O la disidentità. Perché in Sicilia siamo tutti bastardi. È il nostro punto di forza. Come in Brasile, o nella musica americana delle origini: collisioni di civiltà. Lì nascono i nuovi stili. Nell’idea di purezza, tutto diventa ordinario.»

FC: «Ultima domanda: il tuo legame col territorio, quanto ha di sentimentale e quanto di irrazionale?»

AC: «Credo sia completamente sentimentale. Tornare qui è, per certi aspetti, un suicidio. Ma è un suicidio felice. Perché cerchi di creare qualcosa di potente, ti autodistruggi, rimetti a rischio tutto. È una volontà di apparente autodistruzione che genera altri significati.»

AM: «Non potevo chiedere risposta più bella. Sei proprio un trailblazer. Ringraziamo Antonino per essere stato con noi, e Diego, senza il quale questa intervista non sarebbe esistita.»

Audio

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con Antonio Mistretta, Federico Chiarello

Fonte

  • , “ [programma radiofonico]”, The Trail Blazers, a cura di Federico Chiarello, Antonio Mistretta, ZAK Radio, Trapani, 20 apr. 2017; trascrizione pubblicata su , 23 sett. 2025.