Opera
Antonino Cardillo
La soglia di una casa, il varco che mette in relazione il dentro e il fuori, è paragonabile all’ouverture di un’opera. Ne anticipa alcune istanze, ma allo stesso tempo non ne svela i contenuti più profondi. In una casa con parco, però, essa non dovrebbe identificarsi semplicemente con la ‘porta d’ingresso’, poiché le esperienze percettive del dentro e del fuori non sono disgiunte. Allo stesso tempo la casa e il parco sono due identità distinte che richiedono necessariamente contenuti costitutivi eterogenei. Dove, dunque, se non nel passaggio tra queste due identità si deve ricercare il fondamento di una nuova strategia d’intervento? Convenzionalmente l’ingresso alle abitazioni si risolve mediante un ‘buco’ (porta) nel muro, come nell’attuale preesistenza. E’ un approccio convenzionale, che induce il fruitore a settorializzare i due ambiti (parco-edificio), impoverendo le qualità spaziali di entrambi. Nell’ipotesi progettuale tale passaggio non avviene tramite un’azione puntuale e istantanea, come la semplice apertura di una porta, ma acquista una sua ‘durata temporale’. Ciò si realizza sostituendo al desueto concetto del ‘muro bucato’ uno spazio continuo, costruito sì da muri, ma che non arrestano il percorso, piuttosto lo ‘accompagnano’, creando la predetta ‘durata’ dell’evento. Pertanto, lo stesso vocabolo architettonico (il muro) che in precedenza settorializzava gli ambiti, con un differente impiego sintattico, li unisce, traducendo in realtà l’istanza primaria di continuità tra esterno (spazio del parco) e interno (spazio dell’architettura). Così l’ingresso si concretizza in una cavità scavata dentro la massa dell’edificio, una sorta di portico senza colonne che oltre a polarizzare il percorso pedonale di arrivo dal parco, riparando da pioggia e sole, collega al coperto l’abitazione con la camera per gli ospiti. I muri che definiscono il portico nella sua lunghezza non circoscrivono un ambito chiuso, ma scorrono fluidi e divergenti, sfociando in un canale aperto verso la grande sala all’interno della casa. Ma la visione del salone non sarà immediata. Come in un racconto, l’organismo spaziale rivendica le sue cadenze, i suoi eventi dislocati nel tempo. Così, in fondo al canale, la parete destra realizza un’inaspettata deviazione. Ridireziona il percorso del fruitore, non ponendolo di fronte alla parete di fondo vetrata, bensì lungo un’ipotetica direttrice diagonale della sala che suggerisce una percezione dinamica della composizione. Allo stesso tempo il piano murario della parete deviata crea una zona oscura che contrappunta il fondale vitreo. Dapprima ritagliata dal canale d’accesso e poi progressivamente disvelata di scorcio, questa grande apertura inonda lo spazio interno dell’incanto della luce bassa del tramonto invernale, ricamando le fronde dei pini ora sui bianchi piani parietali ora sul pavimento ligneo e le gradinate distese. La negazione del fondale come elemento statico e gerarchico introduce a una lettura dinamica delle relazioni tra i vocaboli architettonici, collocati secondo una sintassi scomposta, sensibile ai molteplici percorsi del fruitore. La forma quadrata (metri 9 x 9) del salone è reinventata dall’andamento poligonale dei muri e dalle aperture verso l’esterno. In pianta, nella mezzeria, tre basse gradinate introducono allo stretto rettangolo sopraelevato dello spazio di relazione, marcando così un ambito ‘psicologico’ destinato alla meditazione e alla conversazione. Tre grandi ante quadrate scorrevoli consentono inoltre alla parete vetrata di smaterializzarsi, rendendo possibile la continuità delle attività nella terrazza antistante. Ma vivere il parco non implicherà necessariamente la sua fruizione esterna (peraltro improbabile nei mesi freddi). Lo spazio interno sarà sì un ‘riparo’, ma aperto allo spettacolo della natura e alla magia della luce che reinventa continuamente l’invaso architettonico. Il fondale vetrato, come uno schermo cinematografico, introietta il paesaggio, affinché anche le semplici azioni quotidiane assurgano a una dimensione estetica, ora inedita. La scelta di collocare la grande vetrata a sud-ovest è stata determinata, oltre che da osservazioni di carattere strutturale, da considerazioni bioclimatiche. Nei mesi invernali, infatti, il sole basso nell’emisfero sarà ‘accolto’ da mezzogiorno (sud) sino al tramonto (sud-ovest) riscaldando gli spazi della casa, riducendo così di conseguenza i consumi energetici. Diversamente, nei mesi estivi, il sole alto, da mezzogiorno al primo pomeriggio, sarà schermato dalla copertura e tramontando sarà eclissato dalla parete piena di sud-ovest. Si accede al piano superiore mediante una scala che parte dal pavimento sopraelevato dello spazio di relazione. Tale collocazione è determinata considerando che il suo utilizzo dovrà essere si ‘mediato’, garantendo intimità al piano superiore, ma al pari accessibile senza dover attraversare spazi di servizio. Aerea e costruita da piani leggeri che si librano a sbalzo dalla parete muraria, la rampa diventa inoltre parte integrante della composizione architettonica complessiva. Infine, la sua partenza dal piano sopraelevato dello spazio di relazione consente di ridurne il numero dei gradini abbreviandone la lunghezza. All’esterno, la grande finestra trapezoidale, in alto a sinistra nel prospetto di sud-est, denuncia la cavità che accoglie la scala. Oltre a caratterizzare l’edificio dalla valle, essa riverbererà la luce del mattino sulla sottostante zona pranzo. Al piano superiore un ‘boudoir’ connette tre camere diseguali, ciascuna dotata del proprio bagno. Da quella principale è possibile accedere alla terrazza sul parco. Al piano terra, tranne che per il bagno di ‘rappresentanza’, tutti gli spazi di lavoro e di servizio sono stati accorpati in un’unica unità. Dislocata tra la grande sala e la cellula per gli ospiti, si vuole con essa distribuire contenuti e funzioni secondo una rete logica e associativa. Dalla zona pranzo si accede così, attraverso un grande pannello scorrevole, alla cucina a cui si collegano sia la dispensa che la camera di servizio con il relativo bagno. Inoltre, la dislocazione di tutti i bagni della casa e della cucina è determinata in funzione dell’adiacenza ai preesistenti rubinetti e scarichi, eliminando in tal modo i costi aggiuntivi derivanti dalla trasformazione dell’impianto idraulico preesistente. All’esterno l’intervento progettuale si pone l’obbiettivo di configurare una massa unitaria, sintetica e potente. L’impianto rettangolare (doppio quadrato) del nuovo edificio è ottenuto mediante una parziale demolizione e una nuova espansione che assorbe l’attuale portico con gli archi. L’esistente copertura a pagoda è inglobata dalla prosecuzione verticale dei muri perimetrali del primo piano. Le sue pensiline aggettanti sono demolite assieme a quelle del livello inferiore che bordano la terrazza, eliminando in tal modo tutti i canali di gronda dalla vista. La posizione delle aperture e delle finestre, infine, comunica all’esterno i contenuti e le funzioni degli spazi vissuti. L’aspetto in apparenza non ordinato che ne deriva, rafforza la tridimensionalità antiprospettica del nuovo testo architettonico.
Testo pubblicato per la prima volta in L’Arca, n. 224, Milano, apr. 2007, pp. 53‑55.
Dati
- Tempo: apr.–lug. 2005 (progetto)
- Luogo: Manziana, Italia
- Area: 270 m² (due piani)
- Tipologia: casa indipendente
Crediti
- Architettura: Antonino Cardillo
- Committente: Flaminia Barachini, Salvatore Mariconda
- IGC, testo: Antonino Cardillo