Lettura
Francesca Gottardo
Un tappeto di legno sembra come fluttuare nell’aria e, adagiandosi delicatamente su una superficie eterea color talco, come fosse un’astronave atterrata su un pianeta lontano, ci trasporta in una dimensione apparentemente fuori dal tempo, che qui sembra essersi fermato o mai trascorso, sospeso, immobile. Un senso di iniziale estraniamento pervade l’animo di chi osserva. L’occhio è confuso, la mente turbata, proiettata in uno spazio infinito, senza orizzonte, in cui tutto sembra capovolto. Cielo e terra, sopra e sotto, alto e basso, leggero e pesante, si invertono a dispetto di ogni legge di gravità e di ogni consapevole percezione dello spazio.
E come un caleidoscopio che, nel vortice di forme e colori sempre nuovi, conduce gradualmente alla visione e alla scoperta, questa architettura si rivela a poco a poco, sussurrando motivi, stimoli, riflessioni, ricordi. Attraverso lo spazio si entra nel tempo indefinito in cui la memoria prende forma in un processo ciclico di trasformazione cha dalla materia diviene polvere e viceversa. Invisibile a occhio nudo, tanto che solo la luce ne rivela la presenza, la polvere si cristallizza e nel suo depositarsi esprime la sedimentazione del sapere e della conoscenza. Pulviscolo impalpabile, inconsistente, volatile, come ricorda Calvino a proposito di un’originale collezione di sabbia esposta in una stravagante esposizione a Parigi, che egli descrive come “la meno appariscente, ma la più misteriosa, quella che sembrava avere più cose da dire, pur attraverso l’opaco silenzio imprigionato nel vetro delle ampolle.” Lo stesso vetro attraverso il quale, scrive il critico Janus a proposito di Duchamp, “l’artista entra in una dimensione del tutto nuova, nella trasparenza dello spazio, che gli consente cioè di attraversare tutta la superficie, di andare nell’altra parte della sua opera, come Alice che entra nel dominio dello specchio incantato.”
In questo affascinante spazio domestico, la polvere, sollevata dal vento, veicola lo sguardo dello spettatore verso l’infinito e verso le viscere della madre terra nel passaggio dalla superficie soffice e setosa delle pareti laterali che delimitano indefinitamente lo spazio alla superficie ruvida e corrugata della volta del soffitto, concava e avvolgente, esplicito richiamo alla grotta e alla caverna, forma archetipa che fa rivivere quel desiderio ancestrale di protezione e riparo naturale che presiede la nascita della casa, ma che è al tempo stesso, richiamo junghiano alla cavità uterina, matrice e madre.
Tema biblico per eccellenza, da sempre legata alla materia e al tempo, la polvere richiama l’origine della vita e dell’uomo, nella rappresentazione della terra dalla quale siamo nati e alla quale torneremo, dando forma a questa stimolante architettura, evocativa della memoria.
Nella configurazione della caverna, sintesi della rappresentazione del mondo che racchiude in sé cielo e terra, tale dicotomia si esprime nell’accentuata differenziazione cromatica e materica delle superfici, in particolare nell’uso del colore e nella scelta dei materiali. Antonino Cardillo, già autore di progetti ispirati al rapporto tra l’uomo e la natura, alla ricerca di una sua possibile rappresentazione, esprime efficacemente la commistione tra natura e artificio, rinvenibile, a esempio, nel richiamo all’atmosfera misteriosa e impenetrabile dei ninfei cinquecenteschi, in cui il materiale, inizialmente imprigionato nelle briglie di severe regole costruttive, diviene ribelle e, increspandosi e corrugandosi, non più addomesticato dalla mano dell’uomo, segue il profilo delle conformazioni naturali. Questo esplicito rimando è enfatizzato dall’impiego della pozzolana, materiale primitivo utilizzato nelle prime abitazioni fatte a mano, che configura e caratterizza la volta del soffitto. Depositandosi sulla superficie con un processo assimilabile alle tecniche rinvenute nei quadri di Pollock, dove, immersi nel colore, convivono elementi di sabbia e terra, che creano solchi, rilievi, sporgenze, o alla consistenza materica dei quadri di Burri, la polvere si materializza, in questo progetto, come nell’opera di Duchamp Allevamento di Polvere, cristallizzando la sua natura fuggevole e aleatoria, immersa in un processo continuo di aggregazione e dissolvimento.
Arte e architettura sembrerebbero qui convergere, dunque, nella configurazione di uno spazio metafisico, dove l’abitare diviene una forma d’arte, il che precluderebbe ogni forma di personalizzazione che non ne alteri il contesto, la forma e la sostanza. Tuttavia, man mano che si percorre la sequenza degli spazi che si susseguono, a volte inaspettatamente celati da invisibili muri girevoli nell’alternanza di porte e archi che si confondono in uno curioso gioco di casualità, di cui la vita è forse la più magistrale espressione, metafora dell’indeterminatezza e della fatalità del vivere umano, il senso di iniziale estraniamento cede il passo a uno stato di progressiva consapevolezza, riequilibrato dalla rasserenante presenza di oggetti di uso quotidiano, che presuppongono la presenza dell’uomo nel suo divenire. Oggetti sapientemente disegnati abitano questo spazio leggero, etereo, intangibile. L’illuminazione, costituita da fessure nel pavimento che proiettano fasci di luce sulla volta, invertendo ancora una volta ogni regola, introduce un’ulteriore elemento destabilizzante. La luce proiettata sulla volta, in una sorta di richiamo a quella proiettata nella caverna platonica, focalizza l’attenzione verso l’alto, rivelando il sottile confine che separa ciò che è familiare da ciò che è ignoto, ciò che rimane da ciò che passa e si trasforma, l’infinito rispetto al finito, l’anima rispetto al corpo. Il progetto di Cardillo dà voce a quel desiderio di immortalità che alberga nell’animo umano, inconsapevolmente proteso a giorni senza fine, quale tempio del vivere eterno in cui origine e fine, nascita e morte, alfa e omega coincidono e trasforma questa Casa della Polvere, nella sua ineluttabile ciclicità, in un’esperienza atemporale e onirica, occasione per assaporare, nel quotidiano, un angolo di eternità.
Antonino Cardillo, Casa della Polvere, Roma, 2013. Fotografia: Antonino Cardillo