Cardillo

Volte, grotte, archi e policromia

Berlino, 23 novembre 2017

(ultima revisione)

Trascrizione editata della conferenza parte del congresso alla Station-Berlin

Conferenza

Tempo fa, lessi sulla Lettera sull’umanismo di Martin Heidegger la seguente frase: «Nel pensiero, l’Essere, perviene al linguaggio. Il linguaggio è la casa dell’Essere e nella sua dimora abita l’uomo. Coloro che pensano e coloro che creano con le parole sono i custodi di questa dimora».⁠ Questa riflessione toccava i temi architettonici dell’“abitare”, della “casa” e del “linguaggio”. Secondo Heidegger, il linguaggio appariva come una ricerca sull’origine del significato delle parole.

Per molto di ciò che è stato costruito nel mondo, la presenza delle “parole” , e è stata costante. L’età moderna, al contrario, ha progressivamente rimosso queste parole antiche dal linguaggio del presente, sostituendole con termini legati alla civiltà delle macchine. Una lettura deterministica del fenomeno interpretava tale sostituzione come conseguenza dell’introduzione di nuove tecniche costruttive, rese possibili dalla Rivoluzione Industriale (cemento, ferro e vetro). Eppure, le parole Volta, Grotta e Arco abitano ancora il nostro immaginario: incarnano archetipi che continuano a muoverci.⁠ Secondo Heidegger, «il linguaggio è la casa dell’Essere»; il suo accadere nel tempo potrebbe dunque rivelarci la struttura nascosta di quella storicità che lo rende possibile. Queste parole accadono nell’esercizio della funzione psicologica della Sensazione: quella capacità di trasfigurare l’esperienza corporea del mondo in architettura. L’architettura moderna sembrava aver smarrito questo discorso erotico-sacrale, le cui forme apparivano come mere conseguenze del pensiero logico, la cui sopravvalutazione inibisce ogni possibile conoscenza integrale della realtà.

Nel 1824, lo studioso di antichità Jakob Ignaz Hittorff scoprì in Sicilia alcune tracce di colore su un piccolo tempio, tra le rovine dell’antica città di Selinunte.⁠ Da qui ipotizzò che i templi greci non fossero stati bianchi. Fino ad allora, la società europea aveva proiettato sul pregiudizio storico della purezza greca la legittimità del proprio agire nel mondo. Questo fenomeno di immedesimazione persiste ancora oggi, ma quell’istanza di purezza non proviene da un passato “classico”, come vorrebbe far credere chi “usa” la storia per legittimare il proprio operato, bensì è una conseguenza della civiltà delle macchine: il frutto di un’interpretazione scientifica del mondo che trova rappresentazione nel gabinetto di scienza del Secolo dei Lumi. Ciò rivela la natura del problema: l’istanza civilizzatrice europea, che ancora oggi pervade gran parte delle sue ex-colonie, si fonda sul primato della funzione psicologica del Pensiero. Così, nel realizzare quell’ideale di purezza che culmina nell’assolutismo del bianco, l’architettura moderna rivela il modello comportamentale (pattern of behaviour) che la muove. La policromia, invece, parla della natura inclusiva del “classico”. Il colore rimanda alle cose del mondo: il mare, la terra, la foresta, il fuoco e il cielo. Il colore possiede il potere dell’evocazione: in sequenza e per associazione, la policromia rende possibile il linguaggio universale dell’architettura.


Antonino Cardillo, “Vaults, Grottoes, Arches and Polychromy”, conferenza parte di ArchitekTOUR Kongress, STATION-Berlin, Salone 3, Berlino, 23 nov. 2017. Fotografia: Marcus Jacobs

Pubblicazione

Fonte

  • , “Vaults, Grottoes, Arches and Polychromy”, conferenza parte di ArchitekTOUR Kongress, Heinze, Station Berlin, 22 nov. 2017; trascrizione pubblicata su , 27 mag. 2020.