Cardillo

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Conversazione con Paolo Portoghesi

Calcata, (conversazione)
Monaco, (pubblicazione)


Mentre era in corso di pubblicazione il progetto Mammacaura sulla rivista Abitare la Terra, il caporedattore Mario Pisani aveva suggerito a Cardillo di telefonare a Paolo Portoghesi per incontrarlo. Il testo qui riportato è una trascrizione della sua memoria di quell’incontro. Pochi giorni dopo il Maestro muore. Questo scritto, forse, rappresenta la sua ultima testimonianza




Antonino Cardillo conversa con Paolo Portoghesi



Conversazione

, con Antonino Cardillo


Paolo Portoghesi mi riceve nella ‘stanza della deposizione’. Siedo sul divano col tessuto di William Morris e porto in dono il mio libro Specus Corallii, una busta verde con le mie opere di architettura e l’invito per una conferenza. Portoghesi sfoglia il libro lentamente e si sofferma sull’immagine di una galleria con archi:

— Sembra scolpita sul foglio.

— Ho visto con piacere che sono state prodotte delle nuove bellissime fotografie del suo progetto per la Chiesa della Sacra Famiglia[1] di Salerno.

— Sì, il fotografo [Cédric Dasesson] è stato molto bravo. Ha saputo interpretare la vecchiaia di quel cemento. Perché la vecchiaia, andrebbe vista in controluce.

Poi apre la busta verde ed osserva i dieci fogli all’interno, attardandosi sull’immagine del progetto Come una Scenografia:

— In tutti questi anni lei è rimasto coerente con la sua visione dell’architettura. Non ha ceduto, e le sue opere possiedono un’integrità che oggi è rarissima. Questo fa di lei uno dei pochi architetti.

Quindi osserva l’invito per la conferenza.

— È l’invito per la conferenza L’antropologia nell’architettura che terrò con Rita Cedrini sulla ‘Partecipazione Mistica’ di Lévy-Bruhl. Parlerò di come, nel tempo, abbia compreso l’importanza di una partecipazione sentita tra committente ed architetto per realizzare opere di architettura autentiche.

— Nelle mie prime opere, anche io ho sperimentato questo aspetto. Più tardi, quando ho lavorato per committenze pubbliche, questo rapporto si era affievolito. L’architettura probabilmente ne ha risentito.

— Io penso che la sua vita sia stata come la storia dell’Italia. La storia di un sabotaggio.

Portoghesi sorride.

— Quando studiavo all’Università, alcuni professori non parlavano bene del suo lavoro. Io però intuivo che doveva esserci qualcosa di speciale. Molti anni dopo, quando iniziai a studiare psicologia ho realizzato che la mia intuizione era fondata. In un certo senso il suo lavoro è stato una risposta ad una domanda posta in altri ambiti disciplinari.

— Sì, è molto importante uscire da questo piccolo orticello dell’architettura, per cercare di capire di più.

— Studiando la Psicologia Analitica di Carl Gustav Jung, ho attribuito un valore alla sua ricerca. Quello che lei ha provato a tracciare come percorso era un’istanza che Jung aveva posto già negli anni Venti. E mentre negli stessi anni la Bauhaus meccanizzava l’architettura, la Psicologia Analitica rivelava che la nostra Psiche è costruita da Immagini Primordiali o Archetipi.⁠[2] Allora ho cominciato a comprendere il suo percorso, che spesso dai modernisti non veniva capito e visto invece come uno storicismo. Mentre, era una risposta importante per collegarsi a quella richiesta di evocazione ed integrazione delle Immagini Arcaiche.

— Era la chiave per passare dal funzionalismo ad un razionalismo completamente diverso, non basato solo sulle funzioni, ma sulla percezione. Quindi, è mancato completamente quello. Le cose sono importanti per come vengono usate, non per come sono grandi e lascia perplessi l’idea di captare il rapporto dell’uomo con la casa attraverso dei disegni, delle considerazioni e delle conoscenze tutte di carattere materiale. C’è un certo punto in cui si deve passare alla psicologia. Lì c’è stata una chiusura molto forte. Peccato. Negli anni Sessanta, quando c’è stata l’amicizia con Bruno Zevi, in quegli anni, pochi diciamo, avevamo questo interesse in comune. Ci rivolgemmo al Consiglio Nazionale delle Ricerche per finanziare una ricerca comune… [ricevemmo una] risposta completamente negativa. Era una ricerca sulla psicologia in architettura, che avrebbe assorbito senz’altro il conflitto con Zevi, che si era creato su una questione in fondo secondaria. Ho un grande rimpianto che non ci abbiano dato spazio per fare questa ricerca. Era indubbiamente una ricerca che avrebbe dovuto coinvolgere i due campi. Avrebbe dovuto avere un tono alto. Riconoscimento, finalmente, di un congiungimento di due forze, l’architettura e la psicologia, che avevano molta importanza. Purtroppo non se ne fece nulla. Poi è nata una psicologia dell’architettura, ma in una forma molto scolastica. Il lavoro che avremmo potuto fare con Zevi era di dargli questa impronta junghiana. Perché è Jung che ha dato veramente la spinta fondamentale.

Sabato scorso, Mario Pisani e Lucia Galli sono venuti all’inaugurazione di Open House Roma nella House of Dust ed han visto la mia opera. Mi è dispiaciuto che lei non ci fosse. Sarei stato felice se avesse visitato uno di questi miei spazi.

— Purtroppo sono molto ammalorato, ma può darsi che con qualche miglioramento, tanto da muovermi, possa vederli.

— Quando sarà possibile, sarò sempre disponibile. Se dovesse trovarsi a Roma, vicino Via Veneto oppure al Pigneto, ci sarebbero due opere da visitare: l’Off Club e la House of Dust.

— Mi piacerebbe molto, perché le fotografie danno solo un’idea. Comunque, anche da quello che si legge nelle fotografie, devo dire che emerge proprio una qualità, una coerenza che è rarissimo vedere. La cosa interessante è che non c’è solo il minimalismo, c’è, anche ed invece, una ricerca cruda di cose forti. Perché, diciamo, il minimalismo rischia di addormentarci. Dà sonnolenza. Mentre è ovvio che dobbiamo elaborare un conflitto. Quindi, non possiamo essere troppo addormentati.

Portoghesi indugia nel silenzio.

— È possibile rivedere il suo giardino?

— Purtroppo non mi muovo molto. Però può. Posso anche farle dono di un libro.

Ricevo il libro Abitare Poeticamente la Terra.⁠[3]

— Il libro sul Parco di Calcata!⁠[4] Meraviglioso. Grazie. Son felice di riceverlo.

Lo sfoglio, soffermandomi sull’immagine di un ipogeo con una cantina.

— Sì, si parla del parco, di come ci siamo insediati a partire da una piccola casa di vacanza. Se le capita di tornare, ci sono anche delle visite guidate per vedere gli spazi interni.

Portoghesi va verso la porta ed usciamo. Dinnanzi la casa, apre un piccolo cancello e mi invita ad entrare nel parco. Visito il giardino adombrato da un cielo plumbeo. Mi attardo desideroso d’entrare sulla facciata in forma di libro aperto della ‘biblioteca dell’angelo’. Attraverso le ‘scalinate a stella’, raggiungo le ‘facciate antropomorfe’. Dall’alto, scorgo il labirinto del ‘giardino all’italiana’. Più in là, nei pressi del ‘tempio decastilo’, leggo presso un roseto:

Se a volte la tua freschezza ci sorprende,
rosa felice,
è che in te, petalo contro petalo,
la tua freschezza riposa.⁠[5]

Piove e ritorno nella casa. Portoghesi apre la porta e giunge la voce della moglie Giovanna:

— Paolo, fagli vedere Apollodoro!

Attraverso un piccolo passaggio, entro in un lungo salone con a fondale una facciata trompe-l’oeil che incornicia – dentro una prospettiva di archi – un paesaggio immaginario. Portoghesi siede sul divano Liuto da lui disegnato nel 1982:

— È quello che rimane della Galleria Apollodoro che stava a Piazza Mignanelli.

— Quanto tempo la Galleria Apollodoro è stata su Piazza Mignanelli?

— Dunque, dal 1985 sino al 1994. La galleria era capace di coinvolgere molta gente.

— Forse Roma era anche più attiva negli anni Ottanta? Adesso sembra una periferia.⁠[6]

— Diciamo che è una grande periferia universale, senza centro, quello che ci presenta oggi il mondo… Comunque non c’è una capitale in questa Terra. Sta diventando un problema angosciante, senza essere fisicamente localizzabile.

Uscendo dalla sala, noto un quadro poggiato a terra:

— Questo quadro raffigura Casa Papanice!⁠[7] È l’immagine con cui ha presentato il progetto al cliente?

— No, è un quadro fatto da un pittore che però ha cambiato completamente il colore dell’edificio.

— A proposito di questa casa, avrei una curiosità: quando è stato girato il film Il Dramma della Gelosia[8] con Monica Vitti, si ricorda di quella scena ambientata dentro la Casa Papanice? Lei ne è rimasto dispiaciuto, forse?

— Di che cosa?

— L’abitante della casa è molto volgare ed io penso che questo aspetto del film abbia mancato di rispetto verso la sua opera.

— Ma Ettore Scola ha interpretato molto bene. Il suo approccio era quello di interpretare, come si può dire, una disparità di gusti tra le classi. Quindi non c’era un intento denigratorio.

— Quindi lei è stato contento?

— Contento di una casa che comunque aveva una vocazione cinematografica.

— Pensa che si potrà fare un restauro, come per Casa Baldi?⁠[9]

— Penso di si, costerebbe pochissimo.

— E dentro?

— Dentro ormai è perduta.

— Forse si potrebbe ricostruire?

— Ricostruire lo spazio interno sarebbe facile, però…

— Secondo me sarebbe importante ricostruirlo. Dovrebbe diventare una casa-museo sul suo lavoro. Bisognerebbe trovare un modo. Forse si potrebbe creare una fondazione che compri la casa.

— Una fondazione che comprasse i luoghi deputati del cinema. Tra l’altro, Scola ha successivamente girato un film molto interessante,⁠[10] sempre con Mastroianni, in una casa progettata da Mario De Renzi: la Casa Furmanik[11] sul Lungotevere. De Renzi era un architetto intelligente. È un’idea, sì. Potrebbe essere un modo per salvarla. Trovare qualcuno che la comprasse.

— Ma secondo lei sarà possibile comprarla dall’Ambasciata della Giordania? L’ambasciata è in affitto oppure è proprietaria?

— No, l’ha comprata. Però è molto scomoda per un’ambasciata. Non ha proprio il livello per essere un edificio pubblico ed avere la residenza separata dagli uffici è un po’ problematico. Comunque, servirebbe qualcuno che costituisse un accordo.

— Sarebbe anche interessante avere un luogo a Roma che sia interfaccia del suo giardino qui a Calcata, anche per programmare le visite.

— Abbiamo pensato ad una donazione per il MAXXI,⁠[12] affinché il giardino diventasse una biblioteca di sessantamila volumi aperta al pubblico con una foresteria per poter accogliere. Casa Papanice invece potrebbe diventare la foresteria di una casa dell’architettura. Che già è, perché è un edificio storico.

— Quello è un edificio importante. Anche perché è ubicato in un posto centrale di Roma, facilmente accessibile. Potrebbe essere strategico.

— Si. Poi ripristinare l’aspetto esteriore è facile. Ed anche quello interiore, perché dopotutto l’architettura degli interni era estesa solo su di un piano.

— Se si dovesse fare una ricostruzione, come si farà?

— Ma è un lavoro di stucco, semplicissimo.

— Bene. Lei ha usato dei colori nello spazio. Le specifiche di questi colori sono conservate nell’archivio del suo studio?

— Li avevamo scelti su un catalogo.

— E questo catalogo è conservato? Vi sono segnati i colori scelti?

— Si. Sono, mi pare, cinque i colori. Non ci sono problemi.

Poi Portoghesi torna silenzioso.

— Professore, magari è stanco.

— No, è che purtroppo soffro di un male che sto combattendo, spero di riuscire a venirne fuori. Ad ogni modo, la vita bisogna prenderla come viene, rispettarla. Comunque la ringrazio della visita, perché mi è subito piaciuta la sua architettura. È un vero architetto. Il compito suo è difficile, eh? Però insomma l’intuizione è questa.

— Sono onorato dalle sue parole. Grazie a lei per il suo tempo e per quel che ha detto.

— Spero che si possa combinare questa cosa per il giardino. Nel libro che le ho dato c’è una introduzione funzionale. Perché sono architetture, le sue come le mie, legate alla filosofia, legate alla poesia. Quindi c’è una grande affinità.




Note

  1. ^ Paolo Portoghesi, Chiesa della Sacra Famiglia, Via Nicola Buonservizi, 2639, Salerno, 1969–74.
  2. ^ Carl Gustav Jung, Tipi Psicologici [1921], Bollati Boringhieri, Torino, 2011.
  3. ^ Paolo Portoghesi, Giovanna Massobrio, Abitare Poeticamente la Terra, cur. Maria Ercadi, Gangemi Editore, Roma, 2021.
  4. ^ Paolo Portoghesi, Parco di Calcata, Calcata, 1971–2023.
  5. ^ Rainer Maria Rilke, Les Roses, 1927, n. 1.
  6. ^ Frase pronunciata da una persona che accompagnava Cardillo.
  7. ^ Paolo Portoghesi, Casa Papanice, Via Giuseppe Marchi, 1/b, Roma, 1966–70.
  8. ^ Ettore Scola, Dramma della Gelosia (Tutti i Particolari in Cronaca), Titanus, Italia-Spagna, 1970, 107 minuti.
  9. ^ Paolo Portoghesi, Casa Baldi, Via Sirmione, 19, Roma, 1959–61.
  10. ^ Ettore Scola, Una giornata particolare, Champion, Italia-Canada, 1977, 103 minuti.
  11. ^ Mario De Renzi, Palazzina Furmanik, con Pietro Sforza e Giorgio Calza Bini, Lungotevere Flaminio, 18, Roma, 1935–40.
  12. ^ Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo.





Fonte

  • Antonino Cardillo, ‘Conversazione con Paolo Portoghesi’, L’Arca International, n. 178, dir. Cesare Maria Casati, Monaco, mag. 2024, pp. 90‑97.