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Villa-Atelier di Maurizio Betta

Torino, 


Lettera ad Il Giornale dell’Architettura sulla tutela dell’opera di architettura Villa-Atelier (1973) sul Lago di Garda di Maurizio Betta



Il Giornale dell’Architettura 53



Lettera



Nell’ultimo decennio, il paesaggio del Lago di Garda è stato irrimediabilmente degradato da una diffusa edilizia speculativa in stile: découpage e trompe-l’œil ornano vaste lottizzazioni di case a schiera. Propongono agli acquirenti una storicità costruita su generici riferimenti televisivi.

In quest’ambito culturalmente devitalizzato, nel paese di Polpenazze, presso la Rocca di Manerbio, un piccolo pendio nasconde un’emozionante sorpresa. Si tratta di una residenza singolare progettata nel 1973 dall’architetto Maurizio Betta. Oggi, l’opera recentemente acquisita da un’impresa di costruzioni bresciana, sta per essere demolita per realizzare un complesso di case a schiera. La Soprintendenza di Brescia si è opposta e, utilizzando l’unico strumento ordinario disponibile nella legislazione, ha richiesto alla DARC il riconoscimento d’importante interesse artistico dell’opera ai sensi dell’Art. 20 della Legge 633/1941. Tale strumento abiliterebbe il progettista dell’opera all’esclusiva competenza su eventuali successive modifiche all’impianto originale. Allo stato attuale la DARC ha rifiutato tale riconoscimento, poiché l’architetto Betta non è considerato dalla storiografia una figura di rilievo nel panorama dell’architettura locale, nazionale od internazionale. In questi casi, lo strumento legislativo si dimostra labile ai fini della tutela del contemporaneo, poiché la Storia insegna che, spesso, personaggi ed opere di rilievo sono riconosciuti dalla storiografia solo dopo molti decenni e, di contro, non sempre opere che riscuotono consenso nell’immediato, appaiono rilevanti in una prospettiva storica.

Che fare quindi? È legittimo che la DARC debba affidarsi a criteri oggettivi e, pertanto, non disponendo di uno strumento legislativo che renda possibile la tutela diretta di un’opera contemporanea, l’unica via nello specifico sarebbe quella di stimolare una convergenza d’interesse della comunità scientifica verso l’opera ed il suo progettista, nella speranza di riattivare la pratica presso la DARC prima della demolizione. A tal fine, propongo qui di seguito una mia breve interpretazione dell’opera.

I contenuti funzionali dell’edificio riuniscono residenza, ufficio e produzione tessile prefigurando il vissuto di una piccola comunità, emancipando così lo schema tipologico dell’abitazione monofamiliare. Ciascuna unità della composizione, individuata all’esterno da paratie inclinate, definisce ambiti strutturali e funzionali omogenei. Nelle reciproche relazioni esse individuano un sistema di masse plastiche cementizie dislocate sulla sommità di un pendio orientato verso il lago. Appaiono come gusci rovesciati a sezione trapezoidale, misurati all’interno dalle nervature dei contrafforti e rigate in orizzontale dalle veloci sequenze dei brise-soleil. Nessun infisso intacca la stereometria esterna dei volumi. Così facendo, la programmatica indipendenza tra vetrate e perimetro murario, scindendo il contenitore dal contenuto, realizza uno scarto tra spazio racchiuso e forma esterna; in queste zone interstiziali, realizzate da generosi patii coperti filtranti pioggia, sole e vento, avviene la fruizione esterna. In copertura rigogliosi giardini pensili si estendono su ampie vasche, contribuendo a isolare termicamente l’abitazione. La casa raggiunge così un naturale equilibrio climatico rendendo superfluo il condizionamento artificiale. Estesa su 150 metri quadrati, la piastra nervata della copertura unifica, caratterizzandolo, lo spazio interno della casa. Priva di strutture intermedie, possiede una campata di circa 12 metri. Sotto, gli ambiti funzionali di pranzo, relazione e studio sono scanditi dalle diverse quote di un raumplan a pavimento.


Maurizio Betta, Villa-Atelier, Polpenazze, Lago di Garda, 1973. Fotografia: Antonino Cardillo, 2005

Maurizio Betta, Villa-Atelier, Polpenazze, Lago di Garda, 1973. Fotografia: Antonino Cardillo, 2005